I Riti della Settimana Santa di Taranto 2011


FOLDER LA CROCE E LA PASSIONE NELLA FILATELIA
della Manifestazione "Ave Crux Spes Unica"
Graphic Designer Giò Gigante


Folder "Ave Crux Spes Unica" facciate interne 2 e 3

Folder "Ave Crux Spes Unica" parte interna 5 e 6

Folder "Ave Crux Spes Unica" parte interna 7 e 8

                     
                    Folder "Ave Crux Spes 
                       (fondo) parte 4


Le quattro cartoline contenute nel Folder:


Qui è rappresentata una scultura lignea del SS.Crocifisso 
(attribuita da alcuni a fra' Umile Pintorno - fine sec. XVI -, 
da altri a fra' Angelo da Pietrafitta - fine secolo XVII).
Questo miracoloso e venerato simulacro è oggi custodito nella 
Chiesa (Santuario) del Santissimo Crocifisso di Taranto dei Padri Carmelitani.


Cartolina della Manifestazione "Ave Crux Spes Unica"


SS. Crocifisso della Settimana Santa
Arciconfraternita del Carmine di Taranto


Busta "Ave Crux Spes Unica"


Leggi in calce il Tema della Manifestazione



Pellegrinaggio dell'Addolorata:

Cartolina emessa dalla Confraternita dell'Addolorata
in occasione del Pellegrinaggio dell'Addolorata del 2011


L'Addolorata di S. Domenico
Confraternita di Maria Santissima Addolorata


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Tema della Manifestazione
La Croce fu assunta molto presto dai primi cristiani, come simbolo di appartenenza alla Chiesa. Sappiamo che fino 313, il Cristianesimo era ritenuto una superstitio illicita e che, solo quell’anno, con l’Editto di Milano, il suo status divenne quello di religio licita. Fino ad allora i Cristiani furono costretti a dissimulare, utilizzando simboli che solo gli appartenenti alla comunità potevano capire e interpretare. In oriente si diffuse fra gli altri, il simbolo del pesce, ICQUS: le sue lettere erano intese come iniziali di altrettante parole greche: Gesù Cristo Figlio di Dio, il Salvatore. In occidente, nella metà “latina” dell’Impero Romano, i primi cristiani usavano dissimulare il segno di Croce, in altri disegni o iscrizioni. Sono molti gli studiosi che danno un’interpretazione in questo senso anche del famoso quadrato palindromo; fra gli esemplari più famosi, il latercolo pomepiano, rinvenuto negli scavi della città vesuviana e inciso prima del 79 d.C. ci testimonia l’antichità del simbolo.


S A T O R

A R E P O

T E N E T

O P E R A

R O T A S

La parola centrale TENET, è l’unica palindroma in se stessa: i due TENET formerebbero una croce greca dissimulata, con, alle estremità dei bracci, altrettante T. Anche una delle soluzioni possibili del quadrato, quella anagrammatica, dà come esito la doppia dicitura “paternoster”, necessariamente da disporre in croce, essendoci una sola N.

Sentendo sin da subito la Croce, come un simbolo dal forte valore soteriologico, e dall’irrinunciabile valore identitario, i cristiani erano disposti a correre qualunque rischio, pur di non privarsene! La Croce con cui presero a segnarsi per la preghiera e che ancora oggi rappresenta, almeno nelle famiglie tradizionali, uno dei primi gesti che il bambino impara dai genitori; la Croce il cui segno, sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, diventa ben presto, e tuttora rimane, un gesto liturgico da compiersi durante la Messa. Con l’imperatore Costantino i cristiani acquistano la libertà anche di esporre in pubblico, e senza più dissimulazione, la Croce come proprio simbolo: fu proprio la madre dell’imperatore, a sua volta associata al solium imperiale, Sant’Elena, a rinvenire i resti della Vera Croce nel sottosuolo di Aelia Capitolina, quella che un tempo era stata Gerusalemme; e fu Costantino, secondo la legenda, a segnare con la Croce i propri vessilli, dopo che la notte precedente la battaglia di Ponte Milvio, avrebbe visto in cielo una Croce con la scritta: in hoc signo vinces! Ma, con l’editto di Tessalonica degli imperatori Teodosio, Graziano e Valentiniano II, divenuto ormai il Cristianesimo religione unica dell’Orbe Romano, fu a partire dal 380 che la Croce si avviò a diventare il simbolo distintivo di un’intera civiltà, quella che oggi chiamiamo “occidentale”, la civiltà nata dall’incontro fra la cultura classica e quella germanica, un incontro reso fecondo proprio dall’appartenenza cristiana. L’Evo Cristiano – quello che la storiografia materialista ci ha abituato a definire sprezzantemente “medioevo” – fu l’epoca del trionfo dei simboli cristiani, un epoca in cui la civitas venne identificarsi con la christianitas: il simbolo cristiano per eccellenza, la Croce, diventa un simbolo di identità e appartenenza non solo religiosa, ma anche civica, perché è la prima a dare un senso alla seconda. È la Croce che orna corone e vessilli imperiali e regali; vennero issati Crocifissi sulle facciate di chiese e monasteri, di regge ed edifici pubblici; vennero collocati sulle cime dei monti e sui fondali marini. Le stesse piante architettoniche degli edifici ecclesiali pian piano presero ad essere esemplate sulla forma della croce; una Croce come pastorale dei Papi, una Croce sul petto di Vescovi e Abati, una Croce alla testa di migliaia di processioni per 20 secoli, in tutto l’orbe cristiano; un Crocifisso nelle mani dei grandi santi evangelizzatori e confessori, così come l’iconografia li ha consegnati al nostro immaginario: San Francesco e San Domenico, Sant’Ignazio e San Francesco Saverio, Santa Caterina e le Terese del Carmelo, e – per venire ai santi del 900 – San Massimiliano Kolbe e San Pio. Fu nel segno della Croce, sugli scudi e sui lunghi mantelli, che i cavalieri partirono alla volta di Gerusalemme per il pellegrinaggio armato conosciuto col nome di “Crociata”; e fu nel segno della Croce che si combattè per secoli per la liberazione delle Spagne e della Germania. Quando i nativi americani incontrarono per la prima volta la civiltà europea, fu una grande croce porpora che videro: era quella dipinta sulle vele delle caravelle di Cristoforo Colombo. E fu ancora nel segno della Croce che si levarono le insorgenze anti-giacobine fra il ‘700 e l’800, in Vandea come nel nostro Sud Italia, come ovunque si pretendesse di cancellare il bimillenario retaggio cristiano. E fu ancora nel ‘900, con un Crocifisso al collo che si levarono i Cristeros in Messico e i martiri spagnoli, di recente beatificati dalla Chiesa, contro quanti volevano cancellare l’identità di quei popoli, che era identità cristiana. Una Croce che oggi invece sembra essere divenuta un disturbo, in ingombrante orpello del passato, se stenta a trovare posto in uffici e aule scolastiche.

L’icona del Crocifisso ha parlato ai Cristiani per 20 lunghi secoli; ha ricordato lo scandalo e il mistero ineffabile del Dio che, non solo si fa uomo, ma si fa addirittura Sacrificio per gli uomini, sacrificio ultimo e supremo offerto a Dio Padre. Uno scandalo e un mistero che si ripropone ad ogni celebrazione della Messa, rinnovamento incruento sull’altare del Sacrificio cruento di Cristo sulla Croce: Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facetis!

È Cristo che trasforma un segno di ignominia e di vergogna, il patibolo riservato alla feccia della società, in simbolo di salvezza per gli uomini di ogni tempo. Nella Croce di Cristo l’incomprensibile secondo le categorie umane, si svela e acquista un senso: la sofferenza diventa il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, diventa la strada sicura da percorrere perché è una strada già percorsa da Cristo e che da Lui ci viene indicata. E la speranza cristiana, in questo modo, è la sola ad aprire uno squarcio nel buio della notte nel tempo e nella storia. Una speranza che non ci si presenta astratta, una speranza che ha un nome e un volto, è il nome di Cristo, il Messia Crocifisso e Risorto. E allora possiamo anche noi guardare sereni al segno di quella speranza, all’icona della Croce e possiamo anche noi pregare con le parole di Venanzio di Poitiers (o dell’ignoto successivo emendatore) e del suo inno Vexilla Regis:

O Crux, ave spes unica!

di Giovanni Schinaia


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